Archive for the 'Libri' Category

Perle di saggezza

saggezza

Is it true?

Is it nice?

Is it necessary?

Vero, gentile, necessario. Sono i tre principi su cui, secondo i Sufi, dovrebbe essere incentrata la comunicazione fra le persone.

Carol Fisher Saller, autrice di un breve ma necessario manualetto dal titolo The Subversive Copy Editor, si è indubbiamente ispirata a questi principi per formulare le regole che un bravo redattore (e nel mucchio ci mettiamo anche i correttori di traduzioni) dovrebbe seguire.

Eccole:

Is it wrong? Maybe it’s just different.

Is it confusing? Confusion is a lesser form than wrong and calls for intervention.

Is it ugly? There is the occasional sentence in which a writer’s decision isn’t wrong of confusing, but, aesthetically speaking, you know it will lie badly on the printed page and thereby hinder the reader.

(C.F. Saller, The Subversive Copy Editor, pagg. 64-66)

Saller, senior editor press la University of Chicago Press e responsabile per la sezione Q&A del Chicago Manual of Style Online, indica anche altri tre elementi che si dovrebbero riscontrare nel comportamento di un redattore: cautela (nei rapporti con gli autori e i clienti), trasparenza (= collaborazione con il cliente/l’autore/il traduttore), flessibilità (che cosa si può e non si può negoziare).

Non acquistate il libro se siete alla ricerca di istruzioni o regole specifiche per imparare a redigere un testo. In tal caso vi conviene memorizzare una buona grammatica e tenere sulla scrivania un manuale di stile e un dizionario. L’autrice offre invece una serie di preziosissimi consigli ben meditati per comportarsi da professionisti.

Per redattori. Caldamente consigliato anche ai traduttori. Da rileggere periodicamente.

Postato da: IM

Sociale e poetico

dante_alighieri

Un articolo di IT News su come TED ha organizzato il lavoro di traduzione aperta e gratuita da parte di volontari, al fine di sottotitolare tutte le conferenze in pù di 40 lingue:

Per lanciare il Progetto traduzione aperta, alcuni discorsi sono stati tradotti da professionisti in 20 lingue. Ma tutte le traduzioni future saranno fornite da volontari. In effetti, i traduttori volontari hanno dato il loro contribuito al progetto con oltre 200 traduzioni pubblicate (e con altre 450 in corso di realizzazione). Questi volontari vanno da gruppi bene organizzati che lavorano insieme nella loro lingua, a singoli traduttori che lavorano individualmente e che sono abbinati ad altri da TED. […] Per garantire la qualità delle traduzioni, TED ha definito una serie di linee guida e di sistemi per aiutare i traduttori nella realizzazione di lavori di ottima qualità. Per iniziare, viene fornita una trascrizione realizzata da professionisti (e approvate dall’oratore) in inglese, in questo modo tutte le traduzioni si basano sullo stesso documento di origine. TED poi richiede che ogni traduzione sia revisionata da un secondo parlante, fluente, prima di essere pubblicata; sia il traduttore che il revisore ricevono credito sul sito. TED ha il controllo sul tasto finale “pubblica” (niente viene pubblicato “automaticamente”), e ci sono dei meccanismi di feedback per le comunità in essere e per apportare migliorie dopo la pubblicazione.

Il resto dell’articolo è qui.

Continuando con un tono più poetico, si è concluso da poco il sondaggio della Dante Aligheri: quali versi meglio rappresentano l’Italia di oggi? Al primo posto, ovviamnete, i versi del Purgatorio (76-78):

Ahi serva Italia, di dolore ostello, nave sanza nocchiere in gran tempesta, non donna di provincie, ma bordello!”,

Altri poeti che si sono aggiudicati un po’ d’attenzione: Mameli, Carducci, Leopardi, Manzoni e, miracolosamente, Pasolini con Il canto popolare.

Il riassunto dei risultati è disponibile qui.

Postato da: IM


Al femminile

parole_al_femminile_strillo_grande

Ottimo l’articolo pubblicato sul Guardian sabato scorso e dedicato alle scrittrici americane, il cui lavoro viene spesso oscurato, senza motivi fondati, da quello dei colleghi uomini.

Moreover, serious women writers are much less likely than men to celebrate themselves, like Whitman (who anonymously and ecstatically reviewed Leaves of Grass) or to advertise themselves, like Mailer; and women are judged much more harshly if they are seen as self-promoting or self-important attention-seekers. As a result, they have lower public profiles and less name recognition. They do not marry models, actors or movie stars; they do not get chosen for People magazine’s “most beautiful” people of the year; they do not run for political office; they do not stab their spouses or get into brawls on the street; they do not carry sawn-off shotguns in the front of their cars. On the other hand, they don’t refuse to appear on Oprah, or brag about staying a little drunk every day; they do not become notorious recluses or unapproachable gurus. They are less likely to be in the headlines, the tabloids and the magazines, and less likely to be in the minds of literary list-makers.

L’articolo, disponibile qui, contiene molti spunti per letture interessanti. Da parte mia, non vedo l’ora di ascoltare Toni Morrison, il 20 maggio, ad Amsterdam.

Postato da: IM

Serendipità

In un articolo pubblicato sabato nel Guardian, il giornalista Jeremy Paxman, insopportabile ai più e adorato da pochi (fra cui la sottoscritta) , riflette sulla sua collezione di enciclopedie, dizionari e altre opere di consultazione nell’era di Internet:

[…] a reference book’s capacity for serendipity will score over the web every time. You may be able to turn up the biography of Roy Jenkins much faster on the ODNB website. But you won’t see that the line of J’s among whom he’s interred includes the trade unionist Tom Jackson; his fellow Labour politician Hugh Jenkins; the great rugby fullback, Vivian Jenkins; the poet Elizabeth Jennings; and the daredevil submariner Norman Jewell.

A reference book is still the place to while away the hours. One moment you’re reading about the creator of Zaphod Beeblebrox, Douglas Adams, the next about the bimbashi, explorer, writer and photographer Wilfred Thesiger, or the industrialist, Arnold Weinstock. Do they have anything in common? Not much, beyond determination, and in Adams’s case a vivid imagination and a knack for procrastination.

Il resto dell’articolo è qui.

A chi vuole scoprire e approfondire le avventure televisive di Paxman, un virtuoso dell’inglese nonché temutissimo intervistatore, consiglio quest’articolo di qualche mese fa e una serie di stralci di interviste disponibili su YouTube.

Postato da: IM

Home and away.

Home and away. She had known both; found good in both; loved and hated both. She did not want to have to choose one or the other, because in every choice something is gained but something is lost. And in any case, why was home thought of as a place? What if it were something else?

Laila Lalami, Secret Son.

Postato da: IM

The Beauty of Revision

Madame Bovary

A quanto pare, dalla versione di Madame Bovary pubblicata a suo tempo Flaubert aveva tolto la bellezza di 4500 pagine (in alcuni casi per problemi di censura).

Grazie all’immenso lavoro di 130 volontari, ora tutto il manoscritto annotato e rivisto può essere consultato e ammirato online, in un bellissimo sito interattivo, che consente al lettore di ripristinare eventuali brani corretti o eliminati dallo scrittore francese.

Postato da: IM

Link raccolti

gomitolo_di_lana_by_signorina

Alcuni link per questo lunedì:

Con l’indice alzato a  mo’ di ammonimento, il Corriere segnala una ricerca dell’Associazione Comunicazione PerBene, secondo la quale in televisione si sentirebbe un insulto ogni otto minuti.

Secondo l’analisi ogni 8-10 minuti su uno dei principali canali, si può ascoltare un insulto oppure vedere un dibattito che diventa rissa verbale o che si trasforma in lite. Il tutto aggravato dal fatto, come evidenzia il 75% degli esperti, che questo avviene anche in fascia protetta. Una situazione che giudicano molto rischiosa e che secondo il 64% potrebbe avere serie ripercussioni sui comportamenti quotidiani del pubblico, a partire da bambini e adolescenti che crescono convinti che aggredire e sopraffare gli altri sia normale.

Sul sito dell’associazione Comunicazione PerBene si parla, fra le altre cose, di ecologia della comunicazione in termini piuttosto oscuri.

Su Repubblica un’intervista con Camilleri sulla sua sua carriera, la sua passione per Simenon e il suo linguaggio metà italiano metà siciliano:

Molti scrittori parlano meglio di quanto scrivano, è una vecchia intuizione. “Proprio così. M’era venuta in mente la storia de Il corso delle cose e volevo scrivere. Ma non ci riuscivo. In quel tempo mio padre era malato, passavo le notti con lui e raccontavo il romanzo, alla maniera nostra, in quel misto di dialetto e italiano della piccola borghesia siciliana. Finché non mi venne l’idea: perché non scrivere come raccontavo a mio padre? Lo scrissi in pochissimo tempo e lo consegnai a Niccolò Gallo, grande critico, che mi promise di pubblicarlo entro l’anno. Ma, come direbbe Gadda, subito dopo si rese defunto. Il romanzo aspettò altri dieci anni”. Non era facile far passare quella lingua al vaglio degli editor. A proposito, come sono stati i suoi rapporti con gli editor? “In realtà ne ho avuto uno solo, Gallo, che mi fece una montagna di correzioni, tutte preziosissime. Per il resto, ho continuato di testa mia. Tutti naturalmente mi consigliavano di lasciar perdere quella lingua bastarda. Perfino Leonardo Sciascia mi ripeteva: figlio mio, ma come vuoi che ti capiscano i lettori non siciliani? Ma per me era perfetto. Di una tal cosa l’italiano serviva a esprimere il concetto, della stessa il dialetto descriveva il sentimento”.

Nel  Guardian e The Independent si ricorda llo scrittore  J.G. Ballard, scomparso ieri all’età di 78 anni. Ballard era, fra l’altro, autore di Empire of the Sun (Impero del sole). Anche La Stampa rende tributo allo scrittore, definendolo il profeta dei nostri incubi:

Aveva settantotto anni, Ballard: era nato nel 1930. Ma non nell’Inghilterra madrepatria, che conobbe solo nel ’46, a guerra finita, quando lui era già grande, bensì a Shanghai, dove i genitori erano andati e vivere. Un ragazzino abituato a vivere in una casetta stile cottage con dieci servitori cinesi, si trovava poi a uscir per strada, appena adolescente, e assisteva allo spettacolo meticcio di una città di per sé «iperreale», assai prima che lui cominciasse a scrivere: miscuglio tra gangster e straccioni, prostitute russe, una proporzione tra bar e bordelli sostanzialmente pari… Al momento dell’invasione giapponese tutto si rompe, verrà Pearl Harbor, verrà la prigionia di Ballard chiuso due anni nel campo d’internamento, storie che decenni dopo ispireranno il romanzo L’impero del sole, dal quale Steven Spielberg nell’84 ha tratto un film sceneggiato da Tom Stoppard. Diranno: lo scrittore apocalittico è nato lì. O forse ha ragione Martin Amis: «Semplicemente, l’Impero del sole dà forma a ciò che gli aveva dato forma».

Sempre La Stampa pubblica un’intervista molto leggera con l’autore francese Daniel Pennac incentrata soprattutto sulla sua passione per la penna stilografica (e, di riflesso, la scrittura).

Pennac, nomen est omen. L’amore per la penna stilografica continua?
«Ho un fratello generosissimo. Che riempiva i famigliari di meravigliosi regali. A me donò una penna stilografica. È nel mio studio da 46 anni, assieme all’apposito calamaio. Da 46 anni la uso per depositare sulla carta pensieri, appunti, per disegnare e scarabocchiare. Per le lettere agli amici, perché preferisco l’inchiostro alla mail. Per riempire agende e taccuini di appunti durante il giorno, che alla fine diventano la metafora del tempo passato, della vita che è stata vissuta. È la compagna più intima dei miei pensieri, dei miei sogni, delle mie paure. La uso per scrivere quando non ho la forza di scrivere».

Bell’articolo (anche se non so quanto attendibile) del NY Times sul paragone fra l’editoria dell’antica Roma e quella attuale:

Like Martial, most Roman writers knew that the profits of their writing ended up in the pockets of the booksellers, who often combined retail trade with a copying business — and so were, in effect, publishers and distributors too. At best, the author received only a lump sum from the seller for the rights to copy his work (though once the text was “out,” there was no way of stopping pirated copies). Horace, the tame poet of the emperor Augustus, made the obvious comparison: booksellers were the rich pimps of Roman publishing and authors, or even the books themselves, were the hard-working but humiliated prostitutes. He refers to his slim volume of poetry being “on the game, all tarted up with the cosmetics of Sosius & Co.,” his publishers. Not that Horace did so badly from his writing. In the absence of royalties he was, like most of the best-known authors in Rome, taken under the wing of a patron. In fact, Maecenas, Augustus’ unofficial minister of culture, set him up in a house.

Postato da: IM

Farfalle di parole

farfalle_di_parole

Con mia grande sorpresa, il Corriere di ieri pubblica la traduzione di un bell’articolo uscito dalla penna del paleontologo Stephen Jay Gould su Vladimir Nabokov. Partendo dalla descrizione dello scrittore russo come entomologo (Nabokov era un esperto di farfalle), Gould si lancia in una serie di considerazioni su dilettantismo e professionismo, arte e scienza.

Un assaggio:

Nabokov lavorò ad Harvard fra il 1942 e il 1948, anno in cui accettò una cattedra di letteratura alla Cornell University. Nel suo campo della sistematica degli insetti era un professionista riconosciuto e stimato. La ragione spesso addotta per attribuire a Nabokov uno status da amatore o anche solo da dilettante deriva semplicemente dall’ignoranza delle definizioni di «professionismo» accettate in questo campo.

In primo luogo, fra i principali esperti di vari gruppi di organismi, ve ne sono sempre stati molti che possiamo considerare «amatori» nel senso letterale e positivo del termine, intendendo cioè che le loro conoscenze senza pari sono ispirate dall’amore per la natura e che essi non ricevono una paga adeguata per il loro lavoro. In secondo luogo – purtroppo – un impiego mal remunerato e inadeguatamente riconosciuto in termini di titoli accademici è sempre stato de rigueur in questo campo. Il fatto che Nabokov lavorasse per una paga esigua e con il vago titolo di «research fellow», invece che con la nomina di professore, non implica la mancanza di uno status professionale. In terzo luogo non sto dicendo che tutti i tassonomisti regolarmente impiegati possano vantare solide competenze, né che il loro status sia sempre giustificato. In tutti i campi esistono un paio d’imbecilli e qualche anima ottusa, anche in posizioni elevate! Illustri tassonomisti esperti del gruppo di farfalle ampio e complesso su cui lavorava – le «blues» – testimoniano l’eccellenza del suo lavoro e gli riconoscono quello che fra i professionisti è il massimo tributo d’onore: lodano infatti il suo buon «occhio» nel riconoscere le distinzioni (spesso sottili) che delimitano le specie e altri gruppi naturali di organismi. In effetti, come molti studiosi hanno fatto notare, prima che Nabokov raggiungesse il successo letterario convenzionalmente inteso, con la pubblicazione di «Lolita», in base ai classici criteri di denaro guadagnato e tempo investito, sarebbe stato possibile identificarlo come lepidotterologo professionista – e come scrittore dilettante!

Il saggio di Gould, tratto dal libro I have landed (Codice Edizioni), è disponibile qui nella traduzione di Isabella C. Blum.

Postato da: IM

Anniversario. A torto o a ragione.

missgrammar

Fra qualche giorno si celebrano i 50 anni di successo del libro The Elements of Style di William Strunk Jr., un libro che è diventato un classico per gli studenti anglofoni. Fu pubblicato per la prima volta in edizione “privata” nel 1918, a cui nel1959 fece seguito l’edizione rivista e corretta da E.B. White, a quel tempo redattore della rivista The New Yorker. Una delle ultime edizioni di questo manualetto è quella illustrata da Maira Kalman. Nel 2008 è poi uscita la versione italiana dal titolo Elementi di stile nella scrittura a cura di Mirko Sabatino.

Sul sito della casa editrice, la versione italiana viene presentata così:

Da quasi cento anni The Elements of Style di William Strunk jr rappresenta negli Usa uno straordinario fenomeno editoriale. Un libro di didattica che ha formato tutte le generazioni americane dal 1918 – data della sua apparizione – ad oggi, vendendo milioni di copie. […] Ma in che cosa consiste il segreto del suo successo? Forse il punto fondamentale è che il libro non solo dice ciò che si dovrebbe sapere sulla scrittura, ma soprattutto non dice niente di più. Perché dentro vi è distillato solo l’essenziale. Dalle norme sintattiche all’analisi dei segni d’interpunzione, delle loro funzioni e di tutti i possibili usi; dalle norme compositive alle questioni di forma all’uso improprio delle espressioni linguistiche, fino a un approfondimento sullo stile e i suoi effetti. E questo in pochissime, essenziali pagine. Perché tutto il resto è talento e applicazione.

Sarebbe bello conoscere la reazione dell’editore e del redattore oggi di fronte ai commenti di Geoffrey K. Pullum, che definisce il libro

The Elements of Style does not deserve the enormous esteem in which it is held by American college graduates. Its advice ranges from limp platitudes to inconsistent nonsense. Its enormous influence has not improved American students’ grasp of English grammar; it has significantly degraded it.

Più precisamente:

[…] both authors were grammatical incompetents. Strunk had very little analytical understanding of syntax, White even less. Certainly White was a fine writer, but he was not qualified as a grammarian. Despite the post-1957 explosion of theoretical linguistics, Elements settled in as the primary vehicle through which grammar was taught to college students and presented to the general public, and the subject was stuck in the doldrums for the rest of the 20th century.

Notice what I am objecting to is not the style advice in Elements, which might best be described the way The Hitchhiker’s Guide to the Galaxy describes Earth: mostly harmless. Some of the recommendations are vapid, like “Be clear” (how could one disagree?). Some are tautologous, like “Do not explain too much.” (Explaining too much means explaining more than you should, so of course you shouldn’t.) Many are useless, like “Omit needless words.” (The students who know which words are needless don’t need the instruction.) Even so, it doesn’t hurt to lay such well-meant maxims before novice writers.

Even the truly silly advice, like “Do not inject opinion,” doesn’t really do harm. (No force on earth can prevent undergraduates from injecting opinion. And anyway, sometimes that is just what we want from them.) But despite the “Style” in the title, much in the book relates to grammar, and the advice on that topic does real damage. It is atrocious. Since today it provides just about all of the grammar instruction most Americans ever get, that is something of a tragedy. Following the platitudinous style recommendations of Elements would make your writing better if you knew how to follow them, but that is not true of the grammar stipulations.

Il resto dell’articolo, con una critica dettagliata dei consigli di grammatica e stile, potete leggerlo qui.

Postato da: IM

Per chi ha perso le parole

Grazie a Google Books, si può consultare Words Fail Me di Patricia T. O’Conner, un volumetto con tantissimi consigli pratici (quindi niente teorie o meditazioni zen)  su come organizzare le proprie idee e scrivere meglio.

Postato da: IM


Visitatori

  • 160.534 visitatori

a