Archivio per settembre 2008

Crisi finanziaria

La crisi finanziaria che ha colpito il mondo intero in questi giorni non può non lasciare tracce anche nel linguaggio:

The latest outbreak began with “credit crunch”, a punchy bit of alliteration used to describe a combination of factors that make money scarce. At the end of the summer, “credit crunch” was added to the Concise Oxford English Dictionary (“a severe shortage of money or credit”), along with its older sibling “subprime”.

The New York Times archive, dating from the 1850s, shows “credit crunch” was in fact first coined more than 40 years ago (in 1967) to describe a Wall Street crisis. It popped up occasionally in financial pages over the next four decades, but only took off in news headlines in the middle of 2007. The Irish Times first used the term in 1967, but since the middle of last year this newspaper has used it in more than 800 articles.

Questi e altri fatti interessanti nell’articolo Crunching the language, pubblicato oggi nell’IrishTimes.com

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Riflessione

Weekend Poetry

Lawrence Ferlinghetti. Click to listen.

Esiste il superamento

Dal blog del Guardian, un breve articolo di Lindesay Irvine:

Collins dictionaries has announced that the inclusion of 2,000 new words in its forthcoming new edition means that some of the dustier corners of its lexicon will have to be swept into the semantic dustbin. Farewell embranglement, recrement, fusby and numerous others.

This will be a red rag to books bloggers everywhere. We know that a dictionary is not a phrasebook, but a repository of the expressive scope of the language. Most of our significant experience occurs in language, so if you lose a word the world shrinks. People who adopt foreign languages often talk about how their understanding of the world shifts with the new vocabulary, and the same thing is surely true of the history of language: if you want to know how people thought and felt in times past, looking at the words they used is your first port of call.

[…]

I got in touch with Collins’s press office where a spokesman did laugh fairly readily when I inquired whether he was serious, and conceded that this was a useful new spin on publicity for new dictionaries, drawing public attention from the usual focus on neologisms. But after a minor struggle to get a straight answer he did also say that these words were genuinely for the chop if they failed to secure enough public support.

Nell’articolo cui si Irvine si riferisce, e che potete  leggere qui, si legge inoltre:

Cormac McKeown, senior editor for Collins’s English dictionaries, said that he wanted to squeeze in as many words as possible but the influx of 2,000 new words meant there was not enough space. “We’ve been fiddling around with the typeface to try to get more in, but it is at saturation point. There is a trade-off between getting them in and legibility.”

La soluzione, inverosimile per i più,  è semplice: non usare la carta.

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Dove tutto si evolve

This is a place we see people logging on in their lunch hours and delighting in playing with words, it is a snapshot of culture in flux, looking to understand itself through language. As the banner on the site proudly boasts: 3,256,400 definitions submitted since 1999. It is hard not to delight in the fact so many people are thinking deeply and comically about language and its ever-evolving properties. It’s also a forum for cultural exchange where we get a glimpse into what other Anglophone nations are doing with the language. Here, my favourite has to be the US “acoustic shave” – “the act of shaving with razor; not an electric shave”.

il poeta Adam O’Riordan confessa il suo interesse per Urban Dictionary.

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Note terapeutiche a margine

Le note scritte a penna o matita (o, per i più audaci come la sottoscritta, con il pennarello) sul margine bianco della pagina di un libro: è l’argomento del post di Wyatt Mason nel blog di Harper’s, una delle poche riviste americane che pubblicano cose sensate.

Some people are fussy about their books, insisting that the margins within remain pristine, treating each volume as a sacred object. Although I have a fair number of first editions, and like having them. (I most like being able to find them for a song–Pnin, by Vladimir Nabokov, hardcover first edition, $6–score. Thank you, Bookfinder.) I don’t treat my books tenderly. I don’t beat them up, but reading is involving, and I usually need to write in the book I’m reading.

Da questa parte dell’oceano, invece, nel blog del Guardian Stuart Evers parla di biblioterapia, un servizio offerto dalla libreria The School of Life per la modica somma di 50 sterline (libri esclusi).

The idea that really marks out The School of Life from other book enterprises is their recommendation service, Bibliotherapy. For £50 – excluding books – a specialist will help you choose books perfectly suited to you; a sort of literary personal trainer, if you will. To my mind, it’s a great idea. With so few of us near a bookseller of experience and understanding, it’s the perfect way to pick your way through the minefield of what to read next.

Obviously it’s dependent on the quality of the person recommending the books, but the idea of an independent professional being on hand to assist has always been a staple of my ideal bookshop. While other aspects of The School of Life appear faddish and self-gratified, Bibliotherapy could well be the future. As they say themselves: “A new book is published every 30 seconds, and you would need 163 lifetimes to get through all the books offered on Amazon.” For those that don’t want to waste time on books that are well reviewed but do nothing for them, this very personal shopper method could help people find books they wouldn’t ordinarily pick up.

Questo è il sito della libreria in questione, che non si limita a offrire biblioterapia, ma anche sermoni, psicoterapia e vacanze di gruppo. E come se non bastasse, organizza cene fra perfetti sconosciuti che vogliono imparare l’arte della conversazione.

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Lost in translation

Domenica, 21 settembre 2008.

Contesto

E’ una domenica come le altre: un amico atteso per un classico brunch domenicale con diverse teiere, scones di patate, pancakes, speck, diversi tipi di miele e confetture casalinghe. E naturalmente l’amico arriva con i giornali. Questa volta Il Sole24 Ore e La Repubblica (altre volte si aggiungono L’Unità e La Stampa).

Giornata piacevole, di relax e totale fannullismo (non era certo quello che stavo per scrivere ma non vorrei scatenare Il Barbaro) nel tentativo di lasciarsi alle spalle una settimana di lavoro e non pensare alla successiva.

Storia

Da quando è uscito il film di Sophia Coppola, mi sembra che Lost in translation sia diventato un cliché quando si parla di noi.

La Domenica della Repubblica, pagine 36 e 37: due pagine intere dedicate ai traduttori .. o agli interpreti. Non è possibile stabilirlo. Le due pagine, pubblicità a parte, sono composte da due articoli.

  1. Il mondo salvato dagli interpreti
  2. La mia vita pericolosa di traduttore di stato

Sono commossa. Cavolo, due articoli importanti sul mestiere. Quasi da piangere, per di più interessanti.

Il primo racconta dei traduttori, la storia, in particolare i famosissimi dragomanni, e l’importanza del loro ruolo nelle relazioni fra gli stati. Racconta anche di come spesso due traduzioni, volutamente e per motivi politici, non corrispondano, per esempio, per non far perdere la faccia alle parti coinvolte. L’ultimo esempio è il “presunto” successo europeo nel fermare la guerra in Ossezia del Sud: il trattato fra le parti è leggermente diverso…

Il secondo è un lungo trafiletto sul “traduttore di stato” russo che racconta l’importanza del suo compito e del non commettere errori, di come un traduttore di stato sia anche un politologo. L’articolo è condito da aneddoti che lo rendono particolarmente gustoso. Peccato che Leonid Popov sia un interprete…

Anyway, oggi è domenica, sono rilassata, gli articoli parlano comunque bene di una categoria in genere ignorata. Freghiamocene. E per rimanere in tema (domenicale):

Interpreti – Giornalisti, 4 a 3.

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Poliglotti selezionati

Venerdì 26 settembre sarà la Giornata Europea delle Lingue. Per festeggiare (!) l’occasione, ieri la Commissione Europea ha invitato i giornalisti a prendere un tè nella sala stampa del Berlaymont per far conoscenza con quattro poliglotti, probabilmente selezionati con la massima cura.

La Stampa ce li presenta:

Margaret Faus non ha nulla delle svedesi che siamo abituati a immaginare. Non è alta e non è nemmeno bionda. In compenso parla 4 lingue correttamente e senza accento, ne capisce alla perfezione altre tre e altre cinque le legge senza problemi. Ha cominciato da giovane e non si è più fermata. […]

Joao Gomes ha sessant’anni ed è diventato traduttore e interprete perché di fare il militare in Portogallo proprio non ne aveva voglia e iscriversi all’università era l’unico modo legale per rimandare il servizio. “Avere vent’anni nel Portogallo di Salazar voleva dire avere davanti almeno 4 anni di ferma, e quasi sicuramente una guerra. Eravamo in guerra con tutti”. Così si è iscritto a lingue e letteratura straniere, ascoltava le canzoni americane e le traduceva per capirne il significato. Per mantenersi lavorava per un’agenzia di viaggi. Ha scoperto che viaggiare gli piaceva e ancora di più preferiva imparare le lingue dei turisti che accompagnava. La rivoluzione dei garofani coincise con la fine dei corsi universitari. Non c’era più bisogno di fuggire dal servizio di leva, rimaneva l’amore per le lingue. Oggi Gomes parla e capisce 15 lingue, da più di vent’anni fa l’interprete per la Commissione.

Joannis Ekonomo abitava a Creta, più o meno trent’anni fa. Creta già allora era una meta turistica, piena di inglesi, italiani, tedeschi. Joannis era un bambino curioso, a 4 anni già studiava l’inglese e si attaccava alle gonne delle turiste per sentire i loro discorsi, affascinato da “quei suoni che per me erano extraterrestri”. “Sono diventato interprete per dare un senso a tutti quei suoni che sentivo da bambino” dice ora, che di lingue ne parla correttamente 15 e ne capisce altrettante. Ha imparato il tedesco da una vecchia signora che prendeva il sole sulla spiaggia di Creta per finire alla Columbia University, ad Harvard e infine a lavorare per la direzione traduzione della Commissione Europea. Si definisce un “ponte tra le civiltà”. Si infervora quando spiega che le lingue sono una mescolanza fatta di radici e di etimologie comuni: tazza di te si dice quasi allo stesso modo in polacco, greco e turco.

A sentirlo parlare un perfetto polacco, tedesco, inglese, francese non lo diresti irlandese. Eppure il ciuffo di capelli rossi e il cognome O’Ryan tradiscono l’origine di Sean. Lui di lingue ne parla 8 e ne traduce altre 6. E’ particolarmente affezionato al tedesco perché è la lingua con cui è stato celebrato il suo matrimonio, a Vienna, con sua moglie, che è svizzera francese. “Sapere tante lingue non ha cambiato la mia identità irlandese. Ha accresciuto la mia identità europea e i miei orizzonti. Non c’è conflitto”. Sean racconta che una volta, in Turchia, comprò una giacca di pelle solo perché il venditore parlava irlandese ed era tanto che non sentiva la sua lingua madre, “segno che si compra in tutte le lingue, ma si vende anche meglio”.

Chapeau ai colleghi messi in mostra, naturalmente, ma la sottoscritta, che di lingue alla perfezione ne parla a mala pena una, quando legge notizie come questa

No additional funding will be released to boost EU language policy until 2013 at the earliest, said the commissioner responsible for the dossier Leonard Orban yesterday (18 September 2008), unveiling the EU executive’s new multilingualism strategy.

di festeggiare non ne vede il motivo. (Grazie al barbaro per il link.)

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Language is the people’s

Spiacente, ma Wordie, il sito su cui ognuno di noi poteva creare elenchi prolissi di parole da odiare o amare, è ormai passato remoto.

Adesso possiamo ridefinire il dizionario, grazie a Wordia.

We’re a team of language enthusiasts and general word nuts who have joined forces to create a new kind of dictionary – a democratic ‘visual dictionary’. A place where anyone with a video, webcam or mobile phone can define the words that matter to them in their life.

We believe that everyone wants to express themselves more clearly, whether to win debates, spark conversations or simply to make people laugh with a well-chosen word.

Over the years we’ve tried many ways to improve our grasp of the English language. We’ve listened, jotted and scribbled down words that have excited, confused and challenged us. wordia.com is our way of improving our own vocabulary and in the process, discovering what words mean to other people. Like most people, we’re interested in what other think and feel.

Il progetto viene supportato da HarperCollins, The Nationa Literacy Trust, The Open University e Michael Birch (che è colpevole anche di altri progetti quali Bebo).

Fra le definizioni si trovano gioiellini come questo:

Se volete partecipare, scegliete la vostra parola preferita, accendete la videocam e definite.

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Spunti di riflessione:

1. Che cosa significa esattamente “language enthusiasts”?

2. Chi ha mai detto che il dizionario non è democratico?

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How to write short stories

Click to listen.

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