La comunicazione politica può essere una bestia nera per il copywriter chiamato a dare parole alle idee di potenziali candidati. Se poi il copy in questione non condivide le idee del partito che gliele chiede, la partita si fa molto dura: professionalità da una parte, valori dall’altra, uscirne vincenti è quanto mai improbabile, al massimo si può sperare di ottenere un pareggio.
Dai conflitti interiori a quelli linguistici: in un panorama quanto mai mutevole come quello della politica italiana, che nelle Camere predilige bizantinismi e artifici retorici, ma sulle piazze deve giocoforza farsi capire, il copy o ghost-writer che sia sa che non potrà andare tanto per il sottile, proponendo al politico di turno quei giochi raffinati di parole che gli piacciono tanto, ma che quasi sempre restano nell’archivio delle speranze frustrate.
Occorre invece più che mai evitare ambiguità, coniando claim* a prova di bomba, evitando di prestare il fianco a beffarde contro-campagne: si sa, lo sport preferito dei pubblicitari frustrati è criticare e, massima goduria, rifare le campagne altrui, capovolgendone gli intenti. Lo dimostra il filone dell’antipubblicità, quanto mai ricco (spesso anche di ideali, per fortuna): si vedano per esempio il sito canadese www.adbusters.org o controconcorsi come quello sulle acque minerali, di imminente scadenza, indetto da Terre di Mezzo.
Tornando alla politica in senso stretto, se dunque l’obiettivo è quello di essere compresi e, si spera, votati da un target il più ampio possibile, il saggio copy italico, messi da parte sogni di campagne-choc e “di rottura” che si fanno sempre e solo in Inghilterra, Olanda, Messico, ma mai nel Bel Paese, dovrà seguire un unico imperativo: semplicità al limite dell’ovvietà. Pochi, chiari concetti e, nel caso del Walter nazionale, un’assertività di stampo biblico, reiterata nelle tre headline della sua campagna:
Non pensate a quale partito. Pensate a quale Paese.
Non rientrate nel caos. Voltate pagina.
Non cambiate un governo. Cambiate l’Italia.
Il sorriso del candidato giganteggia sui manifesti 6×3, controbilanciando sul piano visivo il tono perentorio delle frasi; il volto è in primissimo piano, ma sembrerebbe quasi di intravedere, appena sotto, un dito da predicatore levato ad ammonire i fedeli (un atteggiamento che però non è bastato a conquistare l’imprimatur di Famiglia Cristiana). Alla proibizione sorridente segue una frase affermativa, che suggerisce alternative positive: Non fare questo, bensì quest’altro.
Una struttura comunicativa che a me ricorda quella dei Comandamenti, summa di proibizioni concepite per il bene dell’uomo. In questo caso si parla del bene comune, e per raggiungerlo tutti, sottende Walter, devono superare divisioni e particolarismi sterili, aver fede nel futuro, fare sacrifici. Amen!
*altrimenti detto “slogan” nei mitizzati anni Ottanta, tempi di vacche obese tanto rimpianti da pubblicitari incartapecoriti oggi riciclatisi come insegnanti in associazioni, accademie e conventicole marchettinghiane assortite.
A voler essere pignoli, poco più avanti si parla non tanto di claim, quanto piuttosto di tre headline distinte (il vero claim della campagna veltroniana, ripetuto come firma in tutti i manifesti, è infatti “Si può fare”), ma lasciamo questi tecnicismi a quei pubblicitari che non hanno di meglio da fare.
Postato da: FDM