Sogni di qualità

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Dribblate e rimpalli fra il blog della European School of Translation e quello del Barbaro, su quantità e qualità nel mondo della traduzione e soprattutto nel settore GILT.

Potete leggere e valutare da soli i due post. Io vorrei annotare  (solamente per me stessa) alcune affermazioni fatte da Stefano Spila su cui sono inciampata, tenendo presente però che lavoro solo ed esclusivamente sul mercato olandese e belga. Tralascio anche di commentare la prima parte dell’articolo in cui si parla del settore GILT, per il quale, da mediocre ma costosa traduttrice quale sono, lavoro solo saltuariamente.

Con le proprie attività Stefano Spila e i suoi colleghi della European School of Translation vogliono promuovere una maggiore qualità della traduzioni in quei settori non-GILT come, per es., gli studi legali. Non posso dar torto a Spila. Nella mia esperienza, gli avvocati e i notai sono i clienti migliori. Si aspettano, è vero, un lavoro fatto ad arte, ma pagano bene e a 30 giorni.

Ma il signor Spila scrive:

Pensiamo, solo per fare un esempio, agli studi legali: il volume di traduzioni che richiedono, la qualità attesa e i budget disponibili nonché la flessibilità e l’urgenza escludono nella stragrande parte dei casi il ricorso a una traduzione “industrializzata”. Ma, soprattutto, si tratta di committenti estremamente competenti in materia che però affidano all’esterno questi lavori perché il loro tempo ha un valore di norma troppo elevato perché possa essere dedicato alla traduzione.

Flessibilità e urgenza decisamente sì, nel senso che spesso la segretaria dell’avv. telefona venerdì alle 17.00 e la traduzione serve per lunedì, ore 9.0. Ma non capisco perché una traduzione legale non possa essere “industrializzata”. Non si potrà forse far uso della tanto temuta e derisa machine translation, ma spero che i colleghi italiani, come quelli olandesi, facciano  almeno uso di un CAT tool  e che, in ogni caso, abbiano sostituito la scatola con le schedine / il rolodex terminologico / l’elenco in Excel con un database di rapida consultazione.

Nel settore legale, vi sono poi documenti (a partire dai semplici atti standard di nascita/morte/miracoli fino alle citazioni a giudizio, i testamenti e così via) in cui almeno il 30% del testo può essere “copiato” tranquillamente.

A dire il vero non sono neanche sicura che non si possa applicare la machine translation ai documenti legali. Probabilmente basterebbe accertarsi che la terminologia di cui si serve il sistema sia effettivamente corretta e fare un’approfondita revisione.

Se osservo singolarmente tutti i miei clienti, io che non mi occupo più di localizzazione da molto tempo, non uno, e dico “nemmeno uno” potrebbe essermi sottratto da nessuna commodification, “industrializzazione” o altro processo o acronimo che sia, e immaginare che possano rivolgersi a chissà quale big player sarebbe come ipotizzare che io mi rivolgessi al mercato indiano o cinese per la revisione della mia caldaia a gas, per quello mi rivolgo a un fornitore locale, se mi dimostra la sua competenza e qualità.

Questo è poi un fatto che rimane da dimostrare:  siamo veramente sicuri che i clienti di piccola e media dimensione non vadano a caccia di qualità a basso costo (o solamente di basso costo)? Caldaie a parte, il mercato olandese (e, scommettiamo, anche quello italiano?) offre numerosi esempi che contraddicono quest’affermazione.

Altro punto dell’articolo di Spila su cui inciampo:

[…] la riduzione temporanea del volume di lavoro dovuta alla crisi rappresenta semmai un eccellente momento per investire nella qualità per i traduttori freelance, proprio perché se tra uno o due anni dovesse realmente esserci la ripresa, quella qualità potrà pagare molto.

Immagino che gli investimenti nella qualità siano costituiti da corsi di specializzazione e aggiornamento, software e altro. Ammesso e non concesso che esistano corsi di specializzazione di buon livello (“Gli strumenti del traduttore”, “La terminologia: perché sì?/perché no?”, “La mia prima pagina web”, “Online in due pomeriggi”, “Trovare clienti usando la propria creatività”, “Divertirsi a trovare lavoro”…) e  senza fare i conti in tasca a nessuno, mi domando come possano i traduttori investire nella qualità quando le tariffe stanno scendendo a spirale verso il basso e, al contrario dei prezzi dei cereali, non accennano a fermarsi.

Ciononostante, come Stefano Spila, anch’io sono una sognatrice e nel mio piccolo cerco di non vendere auto a tre ruote. Ma che questa sia la mia salvezza a lungo termine … neanche nei miei sogni ne sono troppo sicura.

Postato da:  IM

3 Risposte to “Sogni di qualità”


  1. 1 Luigi Muzii 28 aprile 2009 alle 10:12 am

    Non ho l’altezza né il talento di Michael Jordan, e se devo pensare all’eccellenza nel basket mi vengono in mente Karim Abdul-Jabbar, Larry Bird, Dino Meneghin e Pierluigi Marzorati. Dal Carosello che Massimo Masini faceva per la Simmenthal ho imparato il gancio che mi ha permesso di “sopravvivere” a scuola.
    Guardando Franz Beckenbauer ho imparato a giocare da “libero” e a testa alta, occupando così un ruolo che, quand’ero ragazzo, nessuno voleva.
    Per un po’ ho giocato a rugby, prima da tallonatore – niente commenti, please – poi da apertura. Il mio mito era Hugo Porta.
    Tutto questo non ha fatto di me un cestista, un calciatore o un rugbista, tanto meno professionista. Non fa nemmeno un appassionato, per quanto cerchi sempre di seguire il 6 Nazioni e la mitica sia la mia squadra del cuore e, ancor meno, un allenatore o un docente, a dispetto di Arrigo Sacchi e José Mourinho.
    Parlo e scrivo, perciò, di quel che conosco, soprattutto per pratica. Insegno solo da cinque anni, anche se ho fatto a lungo il formatore per le aziende in cui sono stato impiegato. All’insegnamento non sono arrivato prima nella convinzione di dover aspettare di aver maturato l’adeguata esperienza oltre che le necessarie conoscenze da condividere con gli studenti. Cerco, peraltro, di non propormi come il vangelo e di non essere apodittico.
    Nel suo blogroll, Gianni Davico definisce “Il barbaro” apocalittico, ma reale.
    Stefano Spila, che non ho il piacere di conoscere, lo definisce invece catastrofico semplicemente dalla lettura di un post. Non deve neanche averlo letto tanto attentamente, né deve aver letto nessun altro dei miei scritti sull’argomento, non solo sul blog, a cominciare da quelli per l’ormai defunto Language International a quelli per ClientSide News e perfino a quello per la Rivista Italiana di Tecnica della Traduzione della SSLMIT di Trieste. Se lo avesse fatto saprebbe che le opinioni che lo hanno turbato e infastidito le esprimo da anni, e sono in ottima compagnia. Oltre che Renato Beninatto, infatti, pare pensarla come me anche Gabe Bokor, editor di Translation Journal che, nel suo blog ha appena scritto che il qualità è mantra di ogni traduttore e di non aver mai conosciuto un traduttore che non giurasse di produrre solo lavori di eccellente qualità.
    Chissà quali reazioni scatenerebbe, allora, in Stefano Spila la lettura di un altro mio post dal titolo Mercati rionali
    Io la vedo così: i traduttori non sono professionisti nel senso in cui siamo comunemente abituati a concepirli, e a vederli come tali sono solo i traduttori stessi. È sciocco e inutile illudersi del contrario o, peggio, strapparsi le vesti ogni volta che qualcuno mostra scarsa considerazione: vista la frequenza con cui succede, serve solo a inondare la terra di lacrime e a far ricca l’industria tessile. I traduttori sono cottimisti, nemmeno di alto profilo, visto quel che vengono e accettano di essere pagati.
    Questa situazione è frutto anche della “polverizzazione del mercato” che non è affatto un bene. Peraltro, il mercato (immagino almeno quello italiano, non quello di Subiaco e dintorni) non è affatto “oggi più polverizzato di prima” almeno che con prima non ci si riferisca appena a ieri.
    L’Internet, inoltre, anche se in Italia è stata scoperta tardissimo e non ancora del tutto, ha ridotto questo effetto, spalmandolo sull’intero pianeta.
    Non so quale fosse il “mercato classico che si trovava di fronte un traduttore molti anni fa”; quando ho cominciato io era un disastro, ma le paghe, in termini reali, erano quasi il doppio delle attuali. Il mercato era, di fatto, solo cittadino ma molto variegato e orientarsi era difficilissimo, così come riuscire a imporsi. Gli ostacoli poste dagli incarichi più remunerativi, inoltre, erano spesso ciclopici.
    Dire che un mercato siffatto esiga proprio la qualità di cui parla la European School of Translation presuppone il contrario di quanto sta avvenendo, che cioè i piccoli negozi di quartieri prendano il posto dei grandi ipermercati.
    Chiudo questo lungo commento con un’ultima annotazione. Al di là delle numerose imprecisioni che non vale la pena e sarebbe offensivo sottolineare, mi chiedo quali interventi di formazione e aggiornamento “i freelance che attingono a un bacino “polverizzato” di clienti di piccola e media dimensione” possano pianificare e come.
    Si può desiderare, e sognare, che saraà la qualità far sì che “alla fine di questo periodo sul mercato ricompariranno i committenti che sono stati fermi per motivi di bilancio”, ma i sogni muoiono all’alba e, più realisticamente, è più conveniente e giusto non illudersi e non illudere nessuno.

    • 2 maltaglia 28 aprile 2009 alle 5:17 PM

      Un paio di precisazioni:
      Innanzitutto parlando di eccessivo catastrofismo (quindi in accordo, in parte, con Davico), mi riferivo esclusivamente al post sulla qualità riferito a EST e non al Blog il Barbaro che non conosco e non sono necessariamente tenuto a conoscere.
      Lo scritto in questione non brillava per chiarezza e sinteticità, a mio avviso essenziali per spingere qualcuno a proseguire nella lettura di un blog, per questo mi sono fermato lì.
      Ho accettato comunque l’invito a leggere anche Mercati Rionali, però devo dire che anche qui ho trovato problemi nel capire a cosa e a chi si riferisse e a ottenere del succo dal testo, anche quello scritto è prolisso e poco chiaro (problema mio, sicuramente).
      In questa risposta poi, noto che all’acronym dropping e allo slogan dropping si aggiunge anche il più classico strumento retorico del name-dropping, in questo caso a sfondo sportivo, che però rende tutto ancora meno chiaro, e molto più lungo.
      Comunque io non ho detto che i traduttori non siano cottimisti, ho solo detto ciò che penso e vedo dopo 25 anni di professione, che non sono pochi, 25 anni di traduzione continuativa, come unico lavoro, senza fare altre cose, quindi qualche idea sulle dinamiche del settore me la sono fatta inevitabilmente.
      La differenza semmai evidentemente è tra cottimisti-pessimisti (Muzii) e cottimisti-ottimisti (tanti traduttori che continuano tranquillamente a fare il loro mestiere, nonostante tanti acronimi e tanti catastrofismi, e tra quelli io).
      Ribadisco che il nostro settore, proprio perché fatto di infinite singole realtà polverizzate, si definisce meglio con l’esperienza individuale di ciascuno di noi, raccolta fino a comporre un quadro realistico, altrimenti si rischia di applicare teorie valide per mercati più lineari e strutturati o di essere troppo autoreferenziali (e apodittici, nonostante le buone intenzioni dell’autore).
      Quindi autoreferenziali, proprio come gli autoproclamatori della propria qualità come dice giustamente Muzii, tra i quali però ci sono anche tanti traduttori “effettivamente” di grande qualità, provenienti dai percorsi più diversi, a dimostrare che un talento ci vuole sicuramente e che poi esperienza e formazione e “affiancamento” fanno il resto.
      Riguardo ai negozi di quartiere, anche qui è vero il contrario, i negozi di quartiere stanno davvero tornando, a differenza di quanto dice Muzii, e proprio sotto la bandiera della qualità, piccole enoteche, negozi di specialità regionali, negozi di prodotti bio, fornai, artigiani e tutto il resto, e anche i grandi supermercati sono costretti ad aprire “negozietti” interni ai punti vendita dove vendere anche qualità, come il biologico e i prodotti garantiti da marchi di tutela, quindi siamo già in piena controtendenza, almeno in Europa.
      Se si cita troppo, oggi si corre il rischio del deterioramento di ciò che si cita, che spesso è immediato, oggi è meglio citare la realtà perché è estremamente liquida, e osservarla sempre.
      Nessuno poi voleva certo illudere nessuno, chi comincia oggi ha di fronte un’enorme quantità di difficoltà da superare, però qui a volte emerge la mentalità catastrofista
      E mi viene in mente il capolavoro dei fratelli Cohen, “Not a country for old men”, che sottolinea come ogni epoca abbia i suoi catastrofismi che annunciano il “deterioramento drastico, inarrestabile e rovinoso” di qualche tendenza, ma ogni epoca ha le sue tendenze e controtendenze, ogni anno è un potenziale anno mille, se lo guardiamo con catastrofismo.
      Infatti se guardo i tanti colleghi che iniziarono nello stesso periodo nel quale ho iniziato io, 25 anni fa, quanti sono quelli che sono rimasti freelance? Non è facile restare in bilico a vita, in qualunque settore.
      Personalmente li conto sulle dita di una mano, e ho lavorato a periodi anche in aziende dove eravamo tanti traduttori, ma oggi quasi tutti fanno altro, allora, sono vittime del crowdsourcing e delle aste al ribasso? Certo che no, perché queste cose non esistevano, sono i fisiologici “caduti” di un mestiere che era difficile ieri come oggi, anche se per ragioni diverse.
      E’ un lavoro che fa soprattutto per chi guarda ai “fringe benefit”, come il fatto di lavorare quando si vuole, per esempio d’estate di notte, quando fa fresco, e poter andare al mare di feriale, senza calca, a sciare senza fare code in autostrada e sulle piste, in vacanza a giugno, insomma stare sempre sulla corsia sgombra dell’autostrada e fare un po’ come si vuole e non avere “capi”
      E’ anche un mestiere che ti permette di dire a chiunque di scendere da cavallo o da precarie cattedre, e di farlo senza peli sulla lingua, quanto valgono questi vantaggi?
      Ecco, appunto, ci vuole la capacità di non guardare solo agli aspetti monetari, anche quando questi si deteriorano, oppure, per chi proprio non ce la fa, almeno provare a cercare di monetizzare dei vantaggi come questi, e comunque non fa per tutti restare freelance a vita.
      Un fatto di pochi giorni fa in tema di qualità: la sede spagnola di un mio cliente inglese mi chiede di sostituire il loro traduttore italiano, non reperibile (non si rivolgono certo a Internet) per una parte di un testo, da tradurre in 24 ore, accetto, lavoro di notte, invio il testo e senza volerlo mi conquisto un altro cliente.
      Ecco cosa si intende per qualità alla EST, affiancare traduttori di grande esperienza (non certo io) a neotraduttori per aiutarli a farsi una clientela offrendo una qualità professionale, tutto qui, e funziona bene proprio con i clienti che non sono finiti nel calderone delle aste al ribasso, quelli che sanno che se più spendono meno spendono, ai quali si uniranno presto i molti delusi di ritorno dal mondo dei ribassi, ecco una visione C-OTTIMISTICA per il futuro.
      Ultima nota ancora in tema di fumosità e poca chiarezza, ma che c’azzecca Subiaco?
      Non tutti sono iscritti a Facebook.

      Buon lavoro
      Stefano Spila

  2. 3 maltaglia 28 aprile 2009 alle 3:18 PM

    Cara IM,
    grazie della tua risposta, rispondo prima a te perché la tua risposta è puntuale e, cosa da non trascurare, garbata.
    Hai perfettamente ragione quando dici che un traduttore ha oggi il dovere di adottare le nuove tecnologie, ma questo ovviamente non equivale all’industrializzazione del suo lavoro o settore, non integrale, almeno.
    Ed è vero anche che per atti legali ripetitivi e brevi gli studi legali possono “automatizzare” in una certa misura la traduzione, però è soprattutto vero che per i documenti più “corposi”, meno ripetitivi e più urgenti il settore degli studi legali, come molti altri, non va a finire nel calderone delle aste al ribasso, magari con un budget di 100 dollari a progetto, come si vede spesso in giro, non accadrà mai.
    Anzi da questo punto di vista il fenomeno del ribasso ci ha tolto di mezzo i clienti più pericolosi, cioè quelli di più basso livello, che spesso oltre che taccagni si rivelano poi anche insolventi.
    E quindi è vero anche quello che dici riguardo al fatto che molti clienti si sono buttati sulle traduzioni a prezzi stracciati, ma a ben vedere, se sono quel genere di clienti, appunto, non è meglio così?
    E anche io sono d’accordo con te nel pensare che proprio in questi periodi spuntano come funghi corsi come quelli che hai ben descritto tu, probabilmente di poca utilità, però è anche vero che in questo lavoro conta soprattutto l’esperienza e un talento o dono nel saper tradurre, allora forse i corsi migliori sono proprio quelli che prevedono l’affiancamento a traduttori esperti/senior proprio perché oggi più che mai i clienti bisogna fidelizzarli al primo incontro, e perderli può essere un rischio che per un traduttore all’inizio non conviene correre, anche perché il costo nel medio e lungo termine derivante dalla perdita di un potenziale buon cliente non è nemmeno commisurabile a quello di un corso di qualità e finalizzato alla qualità.
    Tra l’altro il tuo intervento è ancora più interessante perché ci ricorda che il nostro mercato è molto complesso, e che contano i punti di vista dei singoli, infatti non solo ci sono i mercati locali, nazionali e internazionali, ma anche i singoli comparti legati alle singole combinazioni linguistiche, e tu almeno hai la fortuna di stare in una combinazione più “rara” che si difende e continuerà a difendersi bene.
    Comunque anche venti o trent’anni fa questa era una professione altrettanto e forse ancora più insicura di oggi (sicuramente più difficile, in mancanza di Internet), eppure siamo ancora qui, quindi fai bene a continuare a sognare e a fare sogni di qualità.
    Saluti
    Stefano


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