Ilaria, i lucchetti babbani e i medaglioni magici

Un videocast, ma questa volta di una collega italiana, Ilaria K. (Ilaria Katerinov), traduttrice editoriale, redattrice e autrice del libro Lucchetti babbani e medaglioni magici (di cui MB aveva già scritto) sui tranelli in cui sono caduti (o no) i traduttori di Harry Potter.

Ora la sottoscritta non è un’appassionata di HP, anzi. Ma Ilaria sa il fatto suo, e la sua presentazione è interessante e vivace.

Fra l’altro, vista l’uscita imminente dell’ennesima avevntura di HP, Ilaria ha iniziato ad aggiornare il suo libro online.

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6 Risposte to “Ilaria, i lucchetti babbani e i medaglioni magici”


  1. 1 luigimuzii 7 agosto 2008 alle 9:27 am

    Al contrario, guarda un po’, chissà perché, delle mie figlie, non sono un appassionato di Harry Potter e, da cinefilo di vecchia data, rifiuto di accompagnarle al cinema a vedere le trasposizioni dei libri della saga perché, due volte su tre mi è capitato di addormentarmi, e non mi succedeva da “Morte di un maestro del tè”.

    La presentazione della Katerinov è brillante, ma non aggiunge granché al dibattito sulla traduzione. Direi, semmai, che due argomenti poteva essere affrontati e sono invece stati ignorati: la tecnologia (dalle memorie agli elaboratori testi) e la (ri)scrittura.
    Nel primo caso il riferimento a Babelfish è un classico caso di captatio benevolentiae o di fishing for compliments (come ama dire una mia amica). Nel secondo caso, invece, da (ex) redattrice, poteva spendere qualche parola sul ruolo che il redattore editoriale ha proprio per evitare alcuni degli errori che ha segnalato, mentre per lo più perdono tempo a fare le pulci alle traduzioni su aspetti marginali.

    Infine, anziché una platea di lettori e, probabilmente, studenti o aspiranti traduttori, sarebbe stato più interessante coinvolgere docenti e traduttori, almeno anche loro.

    Ha ragione, in fondo, MB a dire che il libro (e, a questo punto la presentazione) è un altro caso di “critiche non risolutive”, delle quali temo sarà impossibile liberarsi finché i primi a restarvi ingabbiati, per l’idea che si formano della traduzione, saranno i traduttori stessi.

  2. 2 Ilaria K. 7 agosto 2008 alle 9:57 am

    Buondì, sono l’autrice. Ringrazio tutti e rispondo brevemente a Luigimuzii che ha centrato perfettamente il punto: una presentazione di dieci minuti, di fronte a *quel pubblico*, non poteva che semplificare moltissimo il discorso, e non poteva che appoggiarsi su esempi che quel pubblico conosce (es. babelfish).

    Ricordo che il video è stato girato in libreria in occasione dell’uscita dell’ultimo Harry Potter, quindi non era un contesto che consentisse troppi approfondimenti. Il concetto di riscritture mi pareva un po’ complesso per trattarlo di fronte a una platea di adolescenti e madri.

    Vorrei poi rassicurare sul fatto che nel libro parlo a più riprese della traduzione come “lavoro di squadra” e “catena di montaggio”, e del ruolo svolto dal redattore. E’ un tema su cui non potevo insistere in quella sede, ma ci insisto eccome nel libro.

    Della tecnologia cosa c’era da dire, a parte che Babelfish e compagnia non funzionano? Di ausili informatici per la traduzione non me ne intendo, dal momento che traduco narrativa e quindi non li uso.

    Quanto alla necessità di coinvolgere docenti e taduttori nel dibattito, ben venga: ma io a loro non ho nulla da insegnare, ai ragazzini forse sì 🙂

    Buona giornata
    Ilaria

  3. 3 Ilaria K. 7 agosto 2008 alle 9:59 am

    (P.S. “Aggiungere qualcosa al dibattito sulla traduzione” è proprio l’ULTIMA cosa che volevo fare! Il mio intento era puramente divulgativo.)

  4. 4 luigimuzii 7 agosto 2008 alle 10:28 am

    Della tecnologia cosa c’era da dire, a parte che Babelfish e compagnia non funzionano? Di ausili informatici per la traduzione non me ne intendo, dal momento che traduco narrativa e quindi non li uso.

    Ecco, questo è grave. Il lessico usato per Harry Potter ricorda molto quello di pubblicazioni specializzate per le quali il ricorso alla tecnologia è di grande aiuto. La supponenza con la quale i traduttori letterari (non tutti quelli editoriali) trattano il restante 95% del mercato è preoccupante e arreca danno alla disciplina e alla formazione.

    Sono sicuro che la Rowling si sia servita di elaboratore testi per scrivere la sua saga, anzi mi pare di aver letto abbia dichiarato (molto “americana” in questo) di usare un Mac. Sul sito al cui curatore ha fatto causa, ho letto altresì che aveva, molto diligentemente, annotato a parte i nomi di luoghi, oggetti e personaggi, e mi ha ricordato la cartina di un altro mattone britannico alla cui trasposizione cinematografica (a tre ore a puntata), nonostante le pressioni della prole, ho categoricamente rifiutato di assistere.

    Gli editori, non solo Salani, quindi, e in primis quello inglese, potevano predisporre una specie di glossario e un corpus, ma queste sono sciocchezze che si insegnano nelle facoltà di lingue e traduzione e che, ahimè, i linguisti che se ne occupano fanno di tutto perché restino oscure e legati agli ambiti accademici.

    P.S. Systran (su cui si basa Babelfish) e Google Translate funzionano, ma richiedono un approccio specifico. Se la cosa le interessa, può leggere i miei appunti al riguardo su Il barbaro.

  5. 5 Ilaria K. 7 agosto 2008 alle 12:20 PM

    Oddio, per amor del cielo non diamoci del lei su un blog! Li leggerò volentieri quegli appunti.

    Brevemente: di un elaboratore testi mi servo anch’io nella mia professione, anch’io compilo dei glossari per uso personale, e sono tutto fuorché luddista (nel tempo libero studio programmazione php, per esempio; e uso un Mac, che non vedo cos’abbia di più “americano” rispetto a Windows). Ma i software specifici usati per la traduzione tecnica, a mio avviso, non sono necessari per tradurre letteratura. Vedo però che nelle tue parole c’è un pregiudizio di fondo contro autori come Tolkien e la Rowling, che quindi, immagino, non reputi letteratura a pieno titolo.

    Peraltro suppongo che qualsiasi scrittore che abbia a che fare con un vasto numero di personaggi, oggetti e luoghi, si prepari un glossario.

    Sono convinta che la Salani avrebbe potuto tranquillamente approntare un glossario cartaceo, o un semplice file Excel. Hanno deciso di non farlo, né analogico né digitale. Il problema è a monte, non nella scelta di usare o meno certi strumenti tecnologici.

    Gradirei non essere accusata di supponenza proprio allorché, nella più sincera modestia, sottolineo che io mi occupo “soltanto” di romanzi e saggi divulgativi, e quindi non sono ferrata sul ben più difficile ambito della traduzione tecnica. Grazie.

    (ps. per la cronaca: la rowling usa un pc portatile, non mac, come si può vedere nel documentario uscito l’anno scorso.)

  6. 6 Ilaria 7 agosto 2008 alle 2:54 PM

    Ho letto poco tempo fa il libro Lucchetti babbani e medaglioni magici, e devo dire che me lo sono gustato davvero. Un po’ perché avendo letto HP in lingua originale ignoravo le soluzioni partorite dalla traduzione italiana, un po’ perché alcuni elementi mi erano onestamente sfuggiti ed è stato interessante rivederli da un punto di vista diverso.
    Di una cosa però ho sentito la mancanza: di un dialogo con la controparte. Mi rendo conto che forse sto chiedendo la luna, ma penso che alcune scelte apparentemente incomprensibili forse potrebbero trovare una risposta in chi le ha compiute. Cito il famoso caso “Pecoranera” (poi trasformato in “Corvonero”), di cui non si capisce né perché “pecora” né perché “nera” (mi risulta che il colore della casa sia l’azzurro). Sarebbe interessante conoscere il perché da chi ha compiuto questa scelta. Non per gusto di polemica, ma proprio per capire e – semmai – accettare. Sono pronta ad accettare una soluzione come “pecoranera”, se la controparte sa darmi una risposta convincente. Ed è proprio questa risposta che mi è mancata. Ripeto: so di chiedere qualcosa che trascende gli scopi del libro, però lo ritengo un aspetto che può contribuire ad arricchire il panorama traduttivo.


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